Escursione al Fitz Roy detto anche Chaltèn, la montagna che fuma (1a parte).

Il Fitz Roy è detto anche Chaltèn, monte che fuma. Così l’avevano battezzata gli Indios, credendolo un vulcano per via della nebbia che ne avvolge la cima. Il Fitz Roy deve la sua fama d’impossibile alle enormi pareti rocciose spesso ricoperte da lastroni di ghiaccio.  Ed alle proibitive condizioni climatiche.

Le stesse condizioni climatiche che fecero dire a Lionel Terray, il mitico alpinista francese. “È stata l’unica montagna che ha messo alla prova la mia capacità di sopportazione e anche il mio morale”.

Trekking-Fitz-Roy

Descrizione.

Il nome Chaltén deriva dalla parola in lingua aoniken che significa la montagna che fuma (a causa delle frequenti nuvole che si addensano sulla sua sommità). Il popolo mapuche la considerava una montagna sacra. Cerro Chaltén è il simbolo della provincia di Santa Cruz, ed è rappresentato nella sua bandiera e nel suo stemma.

Francisco Perito Moreno la battezzò Fitzroy nel 1877 in onore dell’esploratore Robert FitzRoy.

Itinerario consigliato.

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1° giorno El Chalten – Campamento Poincenot.

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Lasciare El Chalten camminando verso nord sulla strada principale RN23 per il Campamento Madsen.

Svoltare a sinistra all’evidente bivio, seguendo il sentiero che conduce dolcemente in salita attraverso un bosco meraviglioso.

Dopo la vista fantastica verso nord sul Rìo de las Vueltas si sale nel fitto bosco, e a volte si intravedono le cime all’orizzonte. Dopo circa 2 ore il Fitz Roy appare, tutto ad un tratto, lasciandovi senza fiato.

Il sentiero continua, e verso sinistra scende un altro sentiero (indicazioni) alla tranquilla Laguna Capri in soli 15 minuti.

Deviazione consigliata.

Questa deviazione è consigliata; l’acqua, chiara come il cristallo, riflette le montagne che tronano a distanza. Alcuni trekkers scelgono di dormire qui. Ma se volete vedere il Fitz Roy dal belvedere all’alba vi consigliamo il più popolare Campamento Poincenot.

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Tornare al sentiero principale e continuare per arbusti e brughiera fino alle indicazioni per la scorciatoia che collega il Fitz Roy con il Cerro Torre.

Il nostro percorso prosegue invece in un largo arco verso NO, a volte attraverso una palude. Seguendo segnalazioni gialle per un ponte. Poi verso sinistra attraverso il bosco fino allo spazioso Campamento Poincenot.

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Se fatto come trek di un giorno, attraversare il campeggio per godere la vista sul Monte Fitz Roy per poi ritornare lungo la via di salita. Altrimenti mettere su la tenda e godere la vista.

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2° giorno Campamento Poincenot – Laguna de Los Tres (Monte Fitz Roy Lookout) – return

Il trek da Campamento Poincenot a Laguna de Los Tres offre una vista spettacolare sull’intero massiccio del Fitz Roy. Una partenza presto la mattina e buon tempo vi regaleranno un’alba da non dimenticare.

Lasciare Campamento Poincenot attraversando prima un piccolo fiume. Poi, continuando verso ovest, un ponte sospeso sopra il furioso Rio Blanco per entrare nel Campamento Rio Blanco, il campo base. Tenere la sinistra per seguire il sentierino fuori dal bosco sul ripido pendio ghiaioso.

Questo porta, dopo un salto, alla cresta vera ed il bellissimo belvedere con viste sulla Laguana de Los Tres.

L’impressionante massiccio del Fitz Roy, e le desolate steppe si estendono per centinaio di chilometri verso est. Il contrasto non potrebbe essere più grande.

Da qui ritornare al campeggio, rifare la tenda e ritornare lungo il sentiero di salita a El Chalten.

Galleria d’immagini:FITZROY

Dicono che i sogni non si risognano. Però quando osservavo la gioia che rideva negli occhi di Horacio e Luca ho capito che avevano appena realizzato il sogno della vita.

Li guardavo in silenzio, a tratti e a lungo, provando sensazioni ed emozioni più di quante ne possa contenere il cuore, prima che il vento si portasse a spasso anche i miei pensieri.

Come passa il tempo!

Dopo vent’anni mi ritrovavo di nuovo lassù. Con compagni diversi ma che stavano vivendo la loro prima grande ed irripetibile esperienza. Ancora in quell’angolo di cielo terso e amico intento a forgiare vitalità e soddisfazione. Percependo quel grandioso ambiente con tutti e cinque i sensi, quasi a non accorgermi di quegli attimi fuggenti.

Ora sulla “cumbre”, mentre il vento ci avvolgeva già dal mattino con le sue raffiche gelide ed intense.

Cercando continuamente di insinuarsi maligno tra le varie indecisioni e le nostre fragili certezze. Fermavo ogni tanto lo sguardo più in basso sulle rocce rosse della cresta di uscita della Supercanaleta. Vari ricordi mi affollavano la mente. Dalla mia prima volta quando sbucavo da quella cresta, alle altre grandi esperienze vissute sui picchi di fronte, su quelle strane Torri incappucciate da curiose meringhe ghiacciate.

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Chaltèn… Fitz Roy, la montagna dai due nomi.

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Racconto della mia ascensione al Fitz Roy.

Chaltèn, il monte che fuma, per via di quelle nubi vorticose che avvolgendone spesso la cima si sfilacciano poi veloci nel cielo. Sarebbe questo il vero nome, l’originale dato dagli indios Tehuelche a quella imponente montagna che credevano fosse un vulcano. Ed a pensarci bene è stato un vero peccato. In piena era coloniale, di sterminio fisico, di odio e di annientamento della tradizione india, al Perito Francisco Moreno sia venuto in mente, purtroppo, di ribattezzare quella magnifica montagna con il nome del capitano della nave inglese Beagle.

Sarebbe davvero suggestivo se questo splendido simbolo di pietra dagli infiniti orizzonti potesse ritornare ad essere il Chaltèn. Il Chaltèn degli antichi Tehuelche. Però mi rimane l’impressione che quel nome le sia stato rubato una seconda volta. Fitz_Roy_1

Ricordi.

Da tre lunghi anni però avevo una parte di cervello sempre parcheggiata sulla parete nord-est del Chaltèn.

Da quando con Fabio Leoni e Rolando Larcher c’eravamo illusi di credere nella benevolenza della sorte, avventurandoci per circa 500 metri lungo i fianchi spigolosi della parte bassa. Poi, dopo sei lunghi e penosi bivacchi nelle portaledge, appesi solamente alle nostre speranze. Subire l’inevitabile “fracaso” del “Todo o Nada”- Ricacciati ed investiti immeritatamente sotto le slavine dalla più brutale bufera che io possa ricordare.

Quando nel cervello di un uomo da tempo scodinzola troppo la curiosità è risaputo che non occorre più dargli molti consigli perché tanto sa sbagliare da solo. E a me è capitato di tornarci nel frattempo altre due volte senza però grandi disegni nella testa. Solo richiamato dal fascino di quei grandi spazi spesso resi impenetrabili dai densi fumi di tempesta. Perciò forse solo per questo mi rimane ancora il beneficio del dubbio di non avere proprio del tutto sbagliato.

La comodità di bivacco risulterà poi fondamentale per superare l’impressionante susseguirsi di difficili placconate nella parte superiore della parete, senza mai scendere.

Verso i primi giorni di gennaio “Giac” termina le sue ferie e quindi se ne deve rientrare a malincuore in Italia.

Con Luca avrò modo, ancora per alcuni giorni, di tornare a ricucire pazientemente qualche speranza durante le lunghe attese nella “cueva de hielo” al Paso Superior.

Per Horacio e Luca era la prima volta su una grande parete. Con poca esperienza, dapprima non si fidavano neppure di confidarmi che sarebbe piaciuto loro almeno provare a mettere le mani sul Chaltèn.

Leggendo il loro immenso desiderio negli occhi mi è venuto quindi spontaneo incoraggiarli ad intraprendere la loro prima grande avventura.

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Nessuno di noi credeva veramente nella riuscita della salita.

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L’abbiamo affrontata sin dall’inizio con semplicità ed essenziale rispetto. Senza tante velleità e solamente con l’idea di divertirci arrampicando il più in alto possibile. Niente spirito agonistico quindi, anche perché lassù non c’è proprio nulla da conquistare. Niente eroismi e nessuna sfida, battaglia o guerra da intraprendere per alcunché con relative vittorie o sconfitte. La totale assenza di “contratti”, media, sponsor e condizionamenti commerciali. Solo un vero alpinismo di ricerca rivolto più al recupero del rapporto umano, senza fretta, record da battere o corse che lasciano indietro i compagni. Non ci siamo fatti “annunciare” da nessuno. Poi in silenzio, piano piano, le cose si sono succedute da sole. Salendo abbiamo recuperato la fiducia, sbloccando di conseguenza anche il cervello.

Succede raramente che il vento si intenerisca, però ancora adesso mi piace pensare che lui abbia apprezzato la nostra genuina semplicità. Tutti i nostri movimenti volevano raggiungere un desiderio ma ci sembrava troppo grande per manifestarlo apertamente. Lui ha capito e ci ha deliziato con il tempo giusto, quell’azzurro da sogno che rende più profondo il cielo di Patagonia.

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2 Risposte a “Escursione al Fitz Roy detto anche Chaltèn, la montagna che fuma (1a parte).”

  1. Le escursioni che si possono fare da El Chalten portano senza difficoltà in posti di una bellezza difficile da descrivere. Bisognerebbe cercare di contare per questo posto unico nella sua magia il maggior numero di giorni possibile nell’economia del proprio viaggio. I nostri 4 giorni sono stati premiati da un sole costante, un cielo blu indimenticabile e la rara visione delle vette senza nuvole. Forse con l’acqua in testa sarebbe stato diverso e, vista la variabilità climatica patagonica, avere un po’ di tempo può permettere di arrivare col tempaccio, ma poi essere premiati.
    Il sentiero verso la Laguna de los Tres, capolinea del sentiero che porta in vista del maestoso Cerro Chalten o Fitz Roy parte a Nord del paese. Le guide del parco sono a disposizione per dare consigli e si incontrano lungo il percorso. Non ci sono luoghi dove prendere acqua, ma si può bere quella dei corsi d’acqua (chiesto alla guida del parco) che si incontrano. Il sentiero è completamente diverso da ciò che uno incontra sulle Alpi. Qua siamo quasi in piano per un percorso lungo, bello e non faticoso. Solo l’ultima ora si sale una “pettata” più impegnativa, ma una volta scollettato il panorama è talmente mozzafiato da far dimenticare qualsiasi fatica. Il Fitz Roy è una montagna immensa e maestosa per le sue pareti ripide e il fatto di stagliarsi da sola nel cielo. In genere è avvolta dalle nuvole (chalten vuol dire montahna che fuma), ma chissà perchè mentre eravamo lì il cielo si è ripulito ed è comparsa immensa tutta la vetta. In basso il lago glaciale aumenta se possibile la bellezza struggente di questo posto.
    Da non perdere, anzi, se possibile, da tornarci almeno due volte in una vita..

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